CONVERTIRSI ALL’AMORE (Lc 13,1-9) (III Dom. Quaresima C)

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”». (Lc 13,1-9)

Introduzione

Continuiamo il nostro cammino quaresimale ancora lasciandoci guidare dal Vangelo di Luca. Il brano che abbiamo letto è tratto da una sezione del vangelo (12,54-13,35) definita appello urgente alla conversione. E’ necessario convertirsi, cambiare rotta… e il discorso ora è rivolto a tutti, alle folle, non più solo ai discepoli. Qualcuno interpreta questo appello come il tentativo di Gesù di far cambiare atteggiamento ai farisei, altri invece come discorso generale che deve toccare ciascuno personalmente. Noi lo riceviamo come un discorso per noi: un invito alla nostra conversione personale. Ma fermiamoci in particolare ai versetti che oggi la liturgia ci propone.


1. La causa della sofferenza

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».

In questa prima parte sono presentati due fatti di cronaca, attestati solo da Luca e non da altre fonti:

  1. Una repressione nel tempio, durante le celebrazioni della festa pasquale. Alcuni galilei avevano sacrificato i loro agnelli, e il sangue doveva essere versato dai sacerdoti sull’altare degli olocausti. La strage compiuta da Pilato nel tempio, con la profanazione del sangue sacrificale, assumeva la gravità di un sacrilegio.
  2. Crollo della torre presso la piscina di Siloe, che rovinò su 18 persone.

Il primo è posto da alcuni al giudizio di Gesù, il secondo è citato da Gesù stesso come ulteriore esempio. Vorrei rappresentare questi due fatti stendendo un telo rosso scuro, che ricorda il sangue, la morte.

Questa realtà di sofferenza è posta al giudizio di Gesù. Perché? Perché c’era un modo di vedere le cose, un modo opprimente, e cercano in Gesù una risposta nuova. Ciò che la cultura religiosa insegnava era questo (togliere il telo rosso, porre un telo nero steso e rimettere sopra il telo rosso): il male, tutto il male, veniva perché “sotto” c’era un peccato, un grande peccato che suscitava l’ira divina e quindi il castigo. Davanti ad una sofferenza, improvvisa, ad una catastrofe, la credenza comune era, cioè, che le disgrazie punissero delle persone che – in qualche modo – avessero commesso degli orribili peccati. Allo stesso modo era letta la malattia o l’handicap: come un intervento di Dio che, dall’alto della sua giustizia, scatenava la sua ira divina e infliggeva il castigo.

Gesù dà voce al loro pensiero, a questa credenza:

Credete che fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?

Credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?

La domanda di Gesù è provocante: sarà che esiste un peccato più grande che merita questo? Qual è questo peccato più grande? E’ l’interrogativo che stava nel cuore di tutti: Che colpa avevano? E’ la grande domanda che abbiamo tutti noi, che ha sempre l’uomo davanti a una tragedia che non comprende.

Ma, ancora più a fondo, questa credenza mostra un modo di vedere Dio. Come è visto Dio? Così (porre un telo bianco, che rappresenta Dio, che abbraccia il telo rosso). Ecco la risposta che si dava al male: viene da Dio. E quindi, la vera domanda che Gesù pone in realtà è su Dio: credete che questa sofferenza è voluta da Dio? Dio è veramente un Dio castigatore?

 

RISPECCHIAMENTO:

Allora guardiamo subito alla nostra vita: probabilmente tutti noi si sono fatti questa domanda, tutti noi siamo stati toccati da qualcosa che ci sembrava ingiusto. E tu, hai dato la responsabilità a Dio di un male che ti ha toccato? Quando hai posto a Dio questa domanda?


2.  Una risposta liberante

Davanti a questa domanda, Gesù risponde chiaramente: No.

No, io vi dico…

Gesù usa la stessa risposta davanti ai due fatti. E questo no è liberante.

Libera l’uomo (togliere il telo nero e metterlo a un lato). Non c’è peccato che faccia meritare la morte e la sofferenza. Quegli uccisi non avevano nessuna colpa più grande di quella di ogni altro uomo sulla terra.

Ma, d’altra parte, questo NO libera Dio (togliere il telo bianco e metterlo a un lato). Dio non è il Dio della morte, del giudizio e del castigo, e l’asse portante del rapporto tra uomo e Dio non è il peccato. L’esistenza non si svolge nell’aula di un tribunale, Dio non spreca la sua eternità in condanne o in vendette, perché Dio è amore (P.Ermes Ronchi).

Gesù risponde, così, a tutti coloro che, vivendo una condizione di malattia o sofferenza, si interrogano sulla propria responsabilità: questo non è un castigo divino.

E allora, da dove viene il dolore? Perché questo telo rosso? Gesù mette in gioco la libertà umana, ristabilisce le responsabilità: gran parte del dolore che viviamo ce lo siamo creato. La croce ce la danno gli altri o ce la diamo noi stessi con uno sguardo contorto e mondano della realtà (P. E. Ronchi). Togliendo la responsabilità del dolore a Dio, viene riconosciuta la responsabilità dell’uomo. La causa del crollo della torre di Siloe è in chi ha costruito quella torre sbagliando i calcoli, nell’impresa che ha usato materiali scadenti; quegli uomini nel tempio sono morti perché i romani volevano espandersi e lo facevano attraverso la violenza. Non esiste un intervento di Dio, diretto e puntuale, le cose, la realtà, vivono una loro autonomia e seguono le loro leggi, che possiamo conoscere.

La risposta di Gesù è liberante non solo perché libera Dio e l’uomo da un giogo, ma perché libera la libertà dell’uomo. E la sua responsabilità. E Dio, allora? L’abbiamo posto a un lato, perché non è che Dio scompare, che Dio non si interessa. Dio c’è, e guarda… Ma anche lui si ferma di fronte alla nostra  libertà.

Dio è limitato, quindi? No, ma ferma la sua mano e ci lascia liberi, perché vuole dei figli, non dei sudditi.

RISPECCHIAMENTO:

Guardiamo adesso alla nostra vita. Vi invito ora ad immaginare questo sguardo di Dio su di te, su di te che soffri e non sai perché, su di te che piangi, che non comprendi, che senti tutto questo nella tua carne… Dio non vuole il male. Dio ti guarda e vuole sostenerti… ma non può intervenire, togliere il male, perché quel male, che stai sperimentando, è frutto della libertà degli uomini, è frutto della loro libertà usata male… Come ti senti davanti a questo sguardo?


3.  Il richiamo alla responsabilità dell’amore

Ma Gesù da completezza alla sua risposta:

ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

E qui cito P. Ermes Ronchi: “Gesù  conclude: noi discepoli siamo chiamati a leggere questi eventi disastrosi come un monito che la vita, non Dio, ci fa: sotto la torre crollata potremmo esserci noi. Il tempo è serenamente fugace, tragicamente breve, approfittiamo di questi giorni come giorni di salvezza e di conversione, non aspettiamo, non temporeggiamo. Gesù l’ha messo come comando che riassume tutto: amatevi, altrimenti vi distruggerete tutti. Il Vangelo è tutto qui. Amatevi, altrimenti perirete tutti, in vite impaurite e inutili.

Se l’uomo ha la responsabilità sulla vita, sulle cose, sul male, Gesù richiama anche a un’altra responsabilità: la responsabilità dell’amore. Solo se l’uomo si converte all’amore, non accadranno più guerre, omicidi, disastri… L’uomo ha la possibilità di costruire o di distruggere, di amare o di odiare, di usare violenza o far sperimentare la tenerezza. Questo dipende dall’uomo. E allora, vicino a questo telo rosso, pongo un telo verde, che rappresenta la persona, che rappresenta ciascuno di noi. Noi siamo responsabili della sofferenza e lo saremo finché non ci convertiremo. E allora mi piace sottolineare il termine conversione non tanto come ritorno a Dio, quanto come ritorno all’uomo, all’umanità. Siamo fatti per l’amore, ci realizziamo nell’amore, la famiglia umana cresce e si salva solo nell’amore…

 

RISPECCHIAMENTO:

Ecco allora un altro rispecchiamento: dove devo convertirmi all’amore? Ossia, dove non sto amando, non sto costruendo, non sto offrendo tenerezza, e quindi genero sofferenza, distruzione, dolore?


4. La vera immagine di Dio

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Ma a Gesù preme non solo rispondere sulla causa del male, ma anche andare a fondo sull’immagine di Dio, sul volto di Dio. Perché non sia più visto come un Dio assassino, ma come è veramente, Dio amore. Ma anche per rispondere a un’altra domanda: “Se Dio è buono, perché non (mi) evita il male?”.

Ed ecco allora la parabola. C’è un Padrone (TELO SCURO, da porre vicino all’uomo e al telo rosso) che guarda l’Albero di fico sterile, che è questa situazione di violenza, di distruzione… Se Dio è questo padrone, allora è come ce lo presentava il Battista: pronto a tagliare l’albero improduttivo, con l’ascia alla radice per sradicare il fico che non porta frutto. Ma accanto a questo padrone che, giustamente, vuole togliere il fico, c’è un contadino, che gli propone di aspettare e se ne prende la responsabilità: sarà lui a zappettare e a concimare l’albero. Se non darà frutti, allora lo taglieranno. Chi è questo contadino? Ecco la vera immagine di Dio (mettere il telo di Dio più vicino all’uomo): non il padrone esigente, che pretende giustamente dei frutti, ma il contadino paziente e fiducioso: «Voglio lavorare ancora un anno attorno a questo fico e forse porterà frutto».

Allora Dio non è là che se ne sta a guardare, mani in mano. Dio rispetta la nostra libertà ma, allo stesso tempo, ci zappetta intorno, come? Attraverso le prove della vita… (telo marrone attorno all’uomo). Così ci concima, e sappiamo che il concime è letame… ma sarà che è sempre e solo negativo? Ricordiamo l’esperienza del letame nella parabola del figlio prodigo… E Dio è paziente: Ancora un anno, ancora un giorno, ancora sole, pioggia e lavoro: quest’albero è buono, darà frutto! E Dio CONTINUA A DIRE A CIASCUNO DI NOI: Tu sei buono, darai frutto!

 

RISPECCHIAMENTO:

E tu accogli, nella tua vita, questo lavorio di Dio su di te, che permette anche le prove, ma perché tu ne esca migliore, ne esca rafforzato nell’amore? Percepisci queste mani che ti stanno “lavorando”?


5. Il nostro cuore duro e impaziente

Ma abbiamo introdotto, nella nostra scena, un altro personaggio, con questo telo scuro. Chi è questo padrone che giudica, che vuole far giustizia subito, che pretende che tutto sia perfetto? Abbiamo detto che non è Dio… ma forse siamo proprio noi. Vi ricordate la parabola del grano e della zizzania, dove c’è il servo che vuole buttare via subito la zizzania, fare subito pulizia? E’ lo stesso atteggiamento. Questo telo scuro siamo noi, che abbiamo in noi la tendenza a giudicare sempre, ad accusare, a colpevolizzare, a voler eliminare il male a tutti i costi… La, nella parabola del grano e della zizzania, era il servo a proporre questo, qui è il padrone. Ancora una volta per sottolineare la nostra responsabilità: Siamo noi i “padroni”, responsabili delle nostre vite. Ma Dio ci invita ad accogliere, in noi, questa dinamica di luci e ombre, questa copresenza di male e bene, questa coscienza che il male c’è ed è radicato in noi… ma se permettiamo a Dio di aiutarci, di plasmarci, allora possiamo vincere il male con il bene…

RISPECCHIAMENTO:

E tu, sei capace di aspettare, di vivere la pazienza davanti all’esperienza del male?

 

Conclusione

Come sempre facciamo, ci poniamo, alla fine di questo incontro, davanti alla scultura che abbiamo creato. Il peccato (telo nero) è là, è rimasto nella scena ma è fuori di noi, come qualcosa che c’è ma non ci determina. La sofferenza inspiegabile c’è, accanto a noi, forse dentro di noi. E noi oggi possiamo essere in questo telo verde, che si prende la responsabilità sulla vita, sul mondo, sul bene e sul male, e cerca di migliorare, di convertirsi all’amore, lasciandosi aiutare dal “contadino” che è Dio… oppure in questo telo scuro, impaziente, giudice, dal cuore duro che si erge a padrone, a giudice e giustiziere…

RISPECCHIAMENTO:

Ed ecco allora il nostro ultimo rispecchiamento. Oggi dove scegli di stare?

 

 

Da P. Ermes Ronchi: Ecco chi è Dio: come un contadino, si prende cura di questo fico, di questo campo seminato, di questo piccolo orto che io sono, mi lavora, mi pota, sento le sue mani ogni giorno. «Forse, l’anno prossimo porterà frutto». Il Dio paziente, che sa aspettare. In questo forse c’è il miracolo della pietà divina: una piccola probabilità, uno stoppino fumigante sono sufficienti a Dio per attendere e sperare. Si accontenta di un forse, si aggrappa a un fragile forse. Per lui il bene possibile domani conta più della sterilità di ieri. Convertirsi è credere a questo Dio contadino, simbolo di speranza e serietà, affaticato attorno alla zolla di terra del mio cuore.



Scarica iltesto della Meditazione: III DOM QUARESIMA C

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